“Solo loro, solo le madri hanno coraggio abbastanza da vivere fino in fondo certe felicità”.
Prendete dei
fogli di carta, una penna, una matita, qualsiasi cosa, e metteteci dentro tutte
le emozioni di una vita: l’angoscia dell’incertezza, il terrore per una guerra
che sembra non avere fine, il dolore di chi si vede sottratto l’affetto di una
vita, l’amore incondizionato di una madre per i suoi figli, la gioia di
ritrovarsi quando si pensava di non esserne più capaci.
Se unite tutti
questi elementi, come i puntini di un grande puzzle, otterrete un romanzo che profuma
di vita. Stiamo parlando de Il coraggio delle madri di Marco Proietti Mancini
(Edizioni della Sera, 2015, pp. 231).
Dopo Da parte
di padre e Gli anni belli, Proietti Mancini torna a narrare le esistenze di
Benedetto ed Elena, un uomo e una donna stretti in una morsa d’amore e di
paura: siamo nel bel mezzo del secondo conflitto mondiale, una guerra che non
perdona e che non lascia scampo ad alcuno; si respira la polvere delle strade
italiane, l’aria frizzante della Capitale, la preoccupazione negli occhi e
qualche sorriso azzardato, a dispetto di tutto ciò che sta accadendo intorno.
Benedetto, che
impareremo a chiamare Bebbe’, deve partire per la guerra, deve andare in
Africa, quella terra lontana e impalpabile perfino nei pensieri di Elena,
giovane moglie innamorata e madre della piccola Annamaria. A tradire l’amore
incorruttibile tra Elinu’ e Bebbe’ ci pensa la guerra, signora vestita dei
colori della disperazione e dell’illusione di chi crede di essere sempre dalla
parte dei giusti. Prima la Grecia, poi i sei mesi di addestramento per
diventare paracadutista ed infine l’Africa. Questo è l’estenuante tragitto di
Benedetto, chiamato a combattere una guerra non sua, una guerra che non aveva
chiesto né voluto, perché la sua unica battaglia era quella di tutti i giorni, per
e con la sua Elena, per e con la sua Annamaria, pochi mesi di respiri e già
votata ad un’infanzia di affanni.
Il logorio dei
mesi, che poi si trasformano in anni, lontani da casa, non intacca il coraggio
di quell’amore così genuino, eppure antico, quasi fosse sempre appartenuto, fin
dalla nascita, ad Elena e Benedetto. Benedetto tornerà, Benedetto torna, perché
Benedetto non tradisce le promesse del cuore, Elena lo sa; ma l’attesa si
trasforma piano piano in angoscia quando, di Bebbe’, le notizie sembrano
disperdersi nell’aria torbida e soffocante di Roma bombardata.
“Elena dubiterebbe perfino di se stessa, se non ci fosse questa creatura attaccata alle sue gambe, questa figlia bellissima a ricordarle che bisogna vivere anche se la guerra non finisce mai. È lei a darle il coraggio, perché di tutti gli eroismi quello più grande è il coraggio delle madri, quando c’è una guerra appena fuori dalla porta di casa”.
Il coraggio
delle madri è un testo completo, che arriva fino al cuore dell’essere umano,
trascinando dentro di sé il vortice delle emozioni che il mondo propone e
impone. È un romanzo italiano, in tutto e per tutto, figlio dell’audacia di un
autore che ha trovato il modo di raccontare l’uomo, trasformandolo in passione
allo stato puro.
L’orrore della
Seconda Guerra Mondiale diventa qualcosa di tangibile: i numerosi episodi che descrivono
la vita di trincea, lo spettacolo indegno della morte altrui, l’incredulità di
dover combattere una guerra di cui non se ne conosce neanche il motivo, vengono
narrati come fossero ricordi vivi, ancora pulsanti, che smaniano nella penna
dell’autore. Lo struggimento di un corpo abbandonato in mezzo alla sabbia del
deserto, ormai ridotto a poco più che una nuvola di uomo, si sposa con la
poesia che Proietti Macini dipinge su ogni parola. La morte, così come la
guerra, sono spettri di una verità cruda sì, dura fino al midollo, ma sono anche
fantasmi descritti con una tale eleganza di sentimento che solo Proietti
Mancini è in grado di equilibrare.
Nessun colpo viene
risparmiato al lettore, si ha la consapevolezza di scendere in campo con
coraggio e dignità. Si resta avvinghiati a Benedetto, ci si aggrappa alle sue
parole di speranza e di sconforto, eppure si ha quasi timore di avanzare, di
procedere con la lettura, proprio come se il pubblico stesso fosse in guerra,
lì, con lui.
Ma la voce dell’Uomo
riesce a sovrastare perfino l’assurdità della guerra, e lo fa con poche parole,
qualche dialogo, una carezza interrotta dal terrore: Benedetto è stato fatto
prigioniero dagli inglesi, non sa quale sarà la sua sorte, non sa se e quando
potrà mai riabbracciare Elena, Annamaria, i suoi affetti più cari, ma una cosa
la sa, gli si rivela, nitida, attraverso gli occhi del maggiore inglese che lo
sta interrogando. Nemici o alleati, inglesi, tedeschi o italiani, tutti sono
figli della stessa disperazione: vincitori e vinti, tutti figli di quella
stessa inutile guerra, fratelli che combattono l’uno contro l’altro, senza un
perché. E se questo è soprattutto un romanzo in cui le vere protagoniste sono
le donne, è anche vero che questo è un romanzo dei figli, questi figli dispersi
e malconci, succubi di una madre potente e forse, a volte, ingiusta, che
punisce anziché consolare.
In queste
pagine, Elena, sòra Francesca, Antonia e tutte le donne – grandi e piccole –
del romanzo, vivono scolpendo nell’anima i segni indelebili della sorte. Le donne
de Il coraggio delle madri muoiono in piedi, soffrono con severità, si
aggrappano ai brandelli di vita che raccolgono per strada: perfino Roma, l’Urbe
stessa, diventa madre che protegge e che si immola per i suoi figli, ferendosi
sotto i colpi delle bombe, ma resistendo fino alla fine, a tutti i costi. Le
madri sono coloro che, nel romanzo di Proietti Mancini, hanno la forza di
credere ancora nella possibilità futura, sono ventri sacri, inviolabili e
comunque eterni, perché a dispetto della morte che le circonda loro
continueranno a combattere con la vita che donano, seppelliranno i corpi dei
loro figli, dei loro mariti, dei loro fratelli, dando alla luce nuove
esistenze.
Con Il coraggio
della madri abbiamo la certezza che siamo stati, siamo oggi e saremo per
sempre i figli di una madre comune e diversa al tempo stesso, prole di una
maternità che governa il nostro destino di uomini, trasformandoci in figli del
coraggio, della paura, della guerra e figli di una vita che spesso che non è
quella che avevamo previsto.
Come in un film
neorealista, proprio come ne La ciociara di Vittorio De Sica, le atmosfere
che Marco Proietti Mancini ci descrive sono quelle dei ricordi di un passato
recente, che brucia sotto la polvere dei libri di storia e soprattutto nel
sangue dell’Italia: questa è la Storia vista con gli occhi di chi l’ha fatta e
di chi l’ha subita, una Storia che ha tradito chi la abitava e che continua a
logorare chi la racconta. Il coraggio della madri è memoria addolcita dalla
lontananza, ma che continua a vivere grazie allo stile incisivo di un autore
passionale.
Sono pagine che
divorano la vita, che odorano di famiglia, di quotidianità e soprattutto che si
affannano alla ricerca della normalità: la normalità ritrovata di Benedetto ed
Elena, quella tanto sospirata normalità in cui convergono la sguaiatezza di una
risata per strada, il rancore e il dolore per un addio inatteso e lo stupore
per la gioia riconquistata.
Proietti Mancini
si rivela autore dell’individuo, della semplicità che svela il pathos per la
Vita vera, quella autentica, quella che trova la sua voce ne Il coraggio delle
madri.
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