Prendete una storia, metteteci dentro un capitano del R.I.S. – Reparto Investigazioni Scientifiche – di Messina, un assassino/a, una serie di delitti atroci che si dipanano tra i musei delle più grandi città siciliane, una grande dose di suspanse – mista ad inquietudine e, a tratti, ad autentico terrore – e un eccellente ritratto psicologico dei personaggi: avrete il thriller perfetto.
Thriller
perfetto che da ora ha un titolo, Silenzi di porpora, e un autore, Carlo
Romano, biologo molecolare nonché Maggiore dei Carabinieri del R.I.S. di Messina.
Questo gioiello di ansia e paura, edito da Falco Editore, è l’opera prima di
Carlo Romano, che ha voluto esordire con un romanzo che non lascia scampo al lettore.
Intenso, coinvolgente e complesso.
Ci troviamo in
Sicilia insieme a Giovanni Raimondi, neocapitano del R.I.S. di Messina, insieme
a Santarelli, il suo collaboratore più anziano ma anche il più vicino a
Raimondi per intuizione e intelligenza, e insieme a tutta la squadra del
Reparto Investigazioni Scientifiche, chiamata ad indagare su una serie di
omicidi che hanno qualcosa di assurdamente macabro.
L’assassino o l’assassina
di cui Raimondi dovrà scoprire l’identità si sta divertendo a dare spettacolo
della propria follia: nei più famosi musei delle più grandi città isolane
vengono ritrovati dei veri e propri mosaici umani, una coppia di individui
trucidati, dissanguati e poi ricomposti scambiando le parti dei due corpi.
Chi può mai
compiere un gesto simile? E soprattutto, perché? Per quale motivo i corpi
vengono sempre ritrovati in una cornice museale? Qual è il filo conduttore che porterà
alla mente malata dell’assassino?
Una Sicilia
grande e accogliente fa da sfondo a questa storia fatta di misteri, vendette e
sanguinosi omicidi, una storia in cui la complessità della trama e la
meticolosa descrizione di tutte le sue fasi, gioca certamente a favore dell’autore
e anche del pubblico di lettori. Mentre ci si affeziona, a mano a mano, al
capitano Raimondi e a tutta la squadra, non si può fare a meno di seguire con
attenzione una vicenda che non ha nulla di scontato: fino alla fine il lettore
porterà avanti la sua tesi, arrivando ad un passo dalla verità, ma che potrebbe
essere smentita da un bel colpo di scena sul finire del romanzo.
Carlo Romano
attua, con successo, un’operazione difficile e delicata: utilizzando tutti gli
strumenti della sua realtà quotidiana, costruisce una trama che ruota attorno
ad un cospicuo numero di personaggi. La particolarità, però, è che non ci
troviamo di fronte a dei protagonisti artificiosi, statici, confinati entro il
recinto delle macchiette classiche del giallo, nessun figurante banale o presentato
in modo superficiale, ma anzi, sembrerà quasi di conoscerli, tanto sono vicini
alla realtà di tutti i giorni: Romano porta in scena il suo lavoro, porta in
scena il R.I.S. di Messina, aiutando il lettore ad immergersi nelle atmosfere
che proprio l’autore vive ogni giorno.
Perfino la
dovizia di particolari con cui vengono descritte le scene del crimine, le
procedure effettuate nelle indagini, gli attrezzi utilizzati in laboratorio, contribuisce
ad accentuare la suspanse e al contempo rende tutto molto più veritiero e,
proprio per questo, accattivante.
Carlo Romano,
insomma, sceglie di romanzare la realtà dei fatti, quella realtà che, purtroppo
di frequente, leggiamo negli inserti di cronaca nera, ma lo fa tratteggiando il
profilo psicologico dei soggetti e soprattutto dell’assassino. Il romanzo,
esattamente come fa il serial killer, oscilla tra la vita e la morte, tra quel
tutto e quel nulla che proprio il criminale vorrebbe indossare.
“Aveva danzato sul filo sottile che separa la vita dalla morte vestito del tutto e del nulla”.
L’elemento della
danza richiama decisamente un appiglio alla vita, alla gioia dell’esistenza,
gioia che, però, viene inabissata dall’esaltazione della morte: l’assassino
distrugge per poter vivere di nuovo, per impregnarsi del nulla e quindi di un
tutto che non gli appartiene, ma che sottrae alle sue prede. Dietro il macabro
piano di uccisione delle sue vittime, infatti, il folle omicida nasconde un
intento ben preciso, protetto da una ferrea psicologia dell’assurdo in cui si
alternano i desideri di rinascita e di distruzione, gli estremi del destino
dell’uomo.
Lo stile
asciutto, limpido e velato di una sottile ironia – che non manca di far
scappare un sorriso al lettore, specie durante i dialoghi tra Raimondi e
Santarelli – è arricchito, inoltre, da un elemento che regala al thriller
qualcosa di gustosamente letterario: Carlo Romano, con intelligenza e maestria,
inserisce all’interno della storia una traccia classica, pochi e semplici
spunti che richiamano l’Iliade di Omero e la tradizione della mitologia greca.
Una scelta vincente per fare di un grande thriller anche un giallo raffinato,
paragonabile per ricchezza della trama e finezza psicologica a Il silenzio
degli innocenti di Thomas Harris.
Un romanzo d’esordio che
non lascia dubbi, un autore che potrebbe rivelarsi una promessa del thriller italiano. Potente.
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